leri sera ho visto confermarsi diverse cose Marco si serve sia di poesie sue sia di altri autori, anche poco conosciuti (e già il fatto che un giovane legga regolarmente versi e si appassioni a questo genere letterario è un enorme punto a favore). Le poesie scritte dal performer sono fatte di immagini forti, qualche volta contemplate come dall’esterno, altre volte invece come se Marco si calasse con tutto sé stesso fino in fondo a situazioni dolorose. Il tono della voce è talora pacato, ma all’improvviso può farsi quasi rabbioso, furioso, soprattutto quando l’artista intende lasciare un segno nella mente e nella nostra vita quotidiana, che è fatta di mille cose per niente scontate. Oltre alla voce, anche i movimenti del corpo sono ora lenti, ora bruschi e perentori, uno su tutti quando Marco tende con forza verso l’esterno il braccio destro e con un “Niente cambia!” ci invita a riflettere sulla nostra comoda indignazione e sul ruolo dei media nel demonizzare chi è solo apparentemente diverso da noi, in realtà invece soltanto meno fortunato e nato in punti della Terra dove tante cose per noi banali sono invece una gioia. L’acqua pulita da bere o la sicurezza del cibo. Il risultato sono i muri che sono stati al centro della performance di ieri sera. Più i muri si fanno alti, più perdiamo pezzi di cielo e opportunità di confronto sincero. Infine, c’è da dire che Marco non rimane confinato nel suo spazio, ma va più volte tra il pubblico, parla al pubblico, direttamente in faccia, oppure lo scruta con lo sguardo fulminante che lo caratterizza. In quei momenti di contatto ravvicinato, è probabile che qualcosa vi si muova anche nello stomaco. Fuori dalle sue performance, il ragazzo è gioviale, allegro, frizzante, e adora parlare di musica, dei Marlene Kuntz poi… Forse perché come artista e comunicatore di immagini la musica rappresenta una delle sue cose più care e la sfera intima.

Alessandro Baila